Autore: Helena Molinari
Editore: Pentàgora edizioni
Editore: Pentàgora edizioni
TRAMA
La differenza fra vivere e abitare, fra sentire la forza di un luogo e limitarsi a soggiornarvi: una scoperta che accompagna un mutamento interiore, delicatamente narrato attraverso i passi della protagonista verso la consapevolezza di una scelta. È la storia di Chiara, che, in pieno lockdown, sa sciogliersi dai ruoli cui si è affidata per tutta la vita, trovando le motivazioni per voltare pagina, costruire il nuovo senza rinunciare al calore dei ricordi e degli affetti.
RECENSIONE
Si fugge dentro le case per fuggire la vita, trascurando quanto esse facciano fare i conti con la vita stessa, quanto esse siano ripiene delle presenze, ma anche delle assenze.
Casa: rifugio, riparo, radici; ma anche luogo dal quale scappare, mura che tengono ancorati a una vita che non si vuole più. Ogni casa custodisce presenze e ricordi, tempi buoni e tempi bui. Ognuno di noi, invece, porta con sé le case che ha attraversato.
I figli, anche cresciuti, spesso non sanno quanto possono somigliarvi o ricorrervi, soprattutto quando i padri non ci sono più. Poi, di colpo, avvertono come una rivelazione la propria inconsistenza, quasi l’incapacità di esistere senza di loro. Un senso improvviso di freddo. Chiara lo aveva capito sulla sua pelle.
È in un periodo non semplice e di transizione. Quel periodo nel quale non si è più ragazzi, non si è più figli, non si “è” più, in relazione a qualcun altro, ma solo a se stessi, ed è da lì che si deve ricominciare.
Ed è da una casa in Alto Adige che Chiara riparte, da un ritorno.
Jan è insegnante di ladino a Bressanone, molto legato alla sua terra, alle sue radici, alle sue montagne. Ha la scorza dura, come si suol dire. Quella pelle lavorata dal freddo e dal sole rispecchia perfettamente la sua anima: dura e rugosa esternamente, calda e forte non appena se ne scalfisce la superficie.
Jan [...] era un uomo in tutto uguale, nell’indole rugosa, alle sue montagne, spalancato, però, una volta in vetta, come i suoi occhi azzurri e i tanti capelli ramati, che sembravano sempre spettinati dal vento. Insomma, un uomo non facile da conquistare, un po’ come i liguri; poi per sempre.
Jan è insegnante di ladino a Bressanone, molto legato alla sua terra, alle sue radici, alle sue montagne. Ha la scorza dura, come si suol dire. Quella pelle lavorata dal freddo e dal sole rispecchia perfettamente la sua anima: dura e rugosa esternamente, calda e forte non appena se ne scalfisce la superficie.
Insieme a Fefa e Paul, che conosce fin da quando è bambina, sarà il suo punto di riferimento per il suo ritorno in Alto Adige.
Nessun titolo poteva essere più perfetto per questa storia, perché le protagoniste sono proprio loro, le case che hanno visto passare Chiara.
Zia Rosa viveva sola e autonoma, in collina, nel levante ligure, tra gatti, asini, ulivi e rose a profusione, nel variopinto di altri fiori seminati dal vento.Zia Rosa: io l’ho conosciuta. Ancora oggi “controllo” che il suo asino sia sempre al suo posto, quando faccio quella strada che la vedeva sempre intenta alla cura dei suoi animali e delle sue piante (Helena poi conosce un aneddoto che mi fa sempre ridere che coinvolge mio nipote e l’asino di zia Rosa!). Per cui mi è stato facile immaginarla tra i suoi fiori e i profumi di quella terra di Liguria che è la stessa nella quale sono cresciuta e vivo io, solo qualche centinaio di metri più avanti. Zia Rosa, nel libro, è lei stessa “casa”.
Ecco, l’azzurro era il filo che legava la sua infanzia all’età più matura: le ricordava come, dalla casa della mamma, bastasse aprire una grande finestra a lunotto per farvi entrare l’odore e il colore del mare.
Nessun titolo poteva essere più perfetto per questa storia, perché le protagoniste sono proprio loro, le case che hanno visto passare Chiara.
Da bambina quella al mare, dove andava con la madre, in Riviera; quella dove è rimasta sola con il padre, e nella quale hanno dovuto ricostruire un nuovo equilibrio dopo la morte della madre; quella milanese, dove avrebbe dovuto vivere la sua storia di coppia; quella di zia Rosa, porto sicuro dove ritrovare la pace in mezzo al caos della vita; l’ultima, lasciatale dal padre, dove costruire una nuova quotidianità, un nuovo futuro, una nuova se stessa.
Quante sono le case che ci portiamo dentro?
Trascinando l’ultima valigia. Si tirò la porta alle spalle nel tintinnio del suo mazzo di case.
Quante sono le case che ci portiamo dentro?
La casa dei nonni quando eravamo piccoli, calda e accogliente (io ricordo sempre il sapore del tè che mia nonna paterna teneva in una teiera su un mobiletto in corridoio), la casa delle vacanze (per me, ritrovata da grande e non ancora abbandonata), la casa in campagna o al mare, la casa in cui siamo cresciuti, la casa “costruita” per un amore poi finito, la casa in cui sono nati i nostri figli, la casa che abbiamo reso nostra... e sono sicura che a queste parole ognuno di noi ha collegato un’immagine, un ricordo, un profumo, una sensazione. Perché è questo che sono le case: custodi di vite, di ricordi, di suggestioni.
"Case" è, a mio parere, un inno alla vita. Ma non come si intende solitamente. No, vita intesa come involucro dentro il quale noi esistiamo, che a volte ci protegge e a volte ci lascia ad affrontare le difficoltà che incontriamo. Vita protetta e vita malandata, come una casa. Vita accogliente e vita che rigetta, come una casa. Vita che è ricordi, persone, oggetti, odori. Vita che è casa. Casa che è vita.
Helena Molinari ha portato dentro la storia di Chiara la storia di tutti noi, con i nostri momenti no, la voglia di ripartire, di cambiare, di dare una svolta. O anche solo di attendere che sia il tempo a indicarci la via da seguire. E lo ha fatto in modo profondo, sensibile, eccezionale.
“Tu sai cosa significa sentire una casa come la propria. E io ancora non so quale sia la mia. Quella su cui costruire qualcosa di mio. E di vero, anche.”Chiara non ha ancora trovato la sua casa, quella capace di accoglierla per come è e per quello che vuole essere. Quella che lei stessa possa definire “casa mia”. Ma il suo non è un lamento, è una voglia che le scoppia dentro e che la porterà a un cambiamento radicale di abitudini, accettando quello che la vita le offre.
"Case" è, a mio parere, un inno alla vita. Ma non come si intende solitamente. No, vita intesa come involucro dentro il quale noi esistiamo, che a volte ci protegge e a volte ci lascia ad affrontare le difficoltà che incontriamo. Vita protetta e vita malandata, come una casa. Vita accogliente e vita che rigetta, come una casa. Vita che è ricordi, persone, oggetti, odori. Vita che è casa. Casa che è vita.
Helena Molinari ha portato dentro la storia di Chiara la storia di tutti noi, con i nostri momenti no, la voglia di ripartire, di cambiare, di dare una svolta. O anche solo di attendere che sia il tempo a indicarci la via da seguire. E lo ha fatto in modo profondo, sensibile, eccezionale.
La memoria più bella, si diceva, sta proprio nel cammino che si fa tutt’uno con la meta e i ricordi.
Helena Molinari ha scritto anche Emma, la recensione la potete leggere qui.
Perché leggerlo → Per riappacificarci con ogni “casa” che abbiamo attraversato e che portiamo dentro di noi.
Buona lettura!
- Annalisa -
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