Recensione: I prati dopo di noi di Matteo Righetto



La recensione di Annalisa a I prati dopo di noi di Matteo Righetto edito da Feltrinelli.


Titolo: I prati dopo di noi
Autore: Matteo Righetto
Editore: Feltrinelli
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TRAMA


Mentre le pianure arroventate sono in fiamme, la montagna rappresenta l'ultimo, precario, rifugio. E in un monastero alle pendici dei monti vive Bruno, un ragazzo gigantesco, "magro e alto come un ontano verde", che si sente particolarmente legato agli animali minuti, insetti soprattutto: "Mio papà diceva", racconta a chi gliene chiede il motivo, "che i più grandi devono prendersi cura dei più piccoli". La sua mansuetudine, lo sguardo fantasioso e candido fanno sì che a molti sembri uno sciocco, eppure sono proprio quelle doti a renderlo capace di comprendere cose che ai più non è dato vedere né sentire. Nell'abbazia gli viene così affidata la cura degli apiari, fondamentali per il pregiato miele, la propoli, l'idromele, gli unguenti e la cera delle candele. Ma le api sono preziose anche perché è grazie a loro che la natura può rigenerarsi, e Bruno ne diventa fedele custode. Sulle Alpi vive anche il vecchio Johannes. Convinto che il pianeta stia per soccombere a causa dell'avanzata dei nuovi barbari, parte per l'Ortles, la montagna sacra che la leggenda vuole abbia un tempo ospitato in perfetta armonia uomini, animali e piante. Nel cammino verso il sacro monte, Johannes e Bruno sono destinati a incontrarsi fra loro e con Leni, una vivace bambina sordomuta rimasta sola al mondo.



RECENSIONE

“Ma il mondo non finirà!”, esclamò poi, contento di dire la sua. “Sarà l’umanità a scomparire, non il mondo!”
“E a te chi l’ha detto?”
“Le api! Sanno cosa che nessuno sa.”

 

Tre esistenze che si incrociano, tre personaggi che stanno scappando, chi verso la salvezza, chi verso una conclusione, chi dai predatori, umani e animali. Tre anime disperse che ritroveranno la speranza nel loro incontro e nella loro meta comune.

 

Era sempre stato strano, Bruno. Tutti lo dicevano tonto, probabilmente perché vedeva e sentiva le cose della vita come un flusso di magiche visioni. [...] Il gigante chiappanuvole.

 

Un gigante fin da piccolo, Bruno, cresciuto troppo fisicamente. Ma anche la sua mente è cresciuta più del normale, e allora lui percepisce ciò che la gente normale non immagina nemmeno, capisce gli animali, riconosce i giusti dall’arcobaleno che ruota loro attorno. E ama le api, quegli insettini così piccoli di cui uno grande come lui ha il dovere di prendersi cura, per quello che creano e per la loro fondamentale esistenza all’interno del sistema mondo. Sono loro che deve portare in salvo dal fuoco, più che se stesso. È per loro che intraprende un lungo viaggio a piedi fino alle ultime nevi, dove la forza e il calore del fuoco non possono arrivare.

 

Fra i due era nata una sorta di complicità, quella tra due esseri diversi eppure complementari, come sono l’ape e il fiore.

 

Dopo la morte dei genitori, Bruno è stato portato dal fratello in un monastero. Qui conosce il monaco Isak, colui che gli insegnerà tutto sulle api, su come curarle, gestirle, lavorarne i doni. È lui che gli urlerà di portarle in salvo quando il monastero sarà raggiunto dal fuoco e brucerà, insieme a tutto ciò che avrà al suo interno.

 

Da tempo viveva solo in una baita che aveva adibito in parte a falegnameria e risistemato quando era giovane, ben nascosta in un bosco di faggi e aceri alpini. Johannes non aveva nessuno con cui condividere i suoi malumori e le sue parole, eccetto un mulo, qualche animale del bosco e quella ghiandaia.

 

Aveva moglie e due figli, Johannes, quando una gigantesca frana ha sommerso tutto il paese, lasciandolo unico superstite, lassù, lontano dalla città. Tutto si è portata via, la loro vita, ma anche la sua. Una cosa gli è rimasta da fare: decidere lui stesso come andarsene. Per questo costruisce una bara, la carica su un carretto insieme a una scacchiera, e parte con il suo mulo, lontano dai barbari che tutto stanno bruciando e che presto conquisteranno tutti i paesi e le città.

 

Era da tempo che non si sdraiava su una coperta ed ebbe la sensazione di galleggiare sulle acque di un lago [...]... ripensò agli ultimi tempi vissuti alla stregua di un animale selvatico: in parte volpe, in parte cerbiatta e in parte gufo. [...] Leni aveva vissuto così fino all’incontro con quel gigante che si trascinava appresso un carretto carico d’api. Dietro agli occhi di quell’omone lei aveva notato subito una luce rassicurante e protettiva, come lo è una grande promessa.

 

Marlene è piccolina, e da troppo tempo vive da sola passando di paese in paese, elemosinando per un pezzo di pane e dormendo sugli alberi per evitare di diventare preda di qualche bestia selvaggia, non solo animale. Il fumo sta già invadendo i boschi quando incontra Bruno e capisce che di lui si può fidare. Così sale sul suo carretto e i due diventano una cosa sola.

 

“Nei tuoi occhi c’è una luce speciale...”, gli disse Isak.
“Tutti gli occhi sono uguali. Basta aprirli...”

 

Quanti spunti dà questo libro... non c’è un attimo di tregua nelle sue 172 pagine, non c’è un momento in cui possiamo rilassarci e godere del racconto. Il lettore è catapultato in lui perché, anche quando tutto sembra proseguire nella tranquillità del quotidiano, sente opprimente sopra le spalle il calore del fuoco che sta invadendo la pianura, o ha la vista annebbiata dal fumo che risale la valle. 
Un’allegoria dei nostri tempi, della condizione in cui stiamo lasciando il mondo e dei rischi che stiamo correndo. Un avviso: la Natura trova sempre il modo di riportare l’equilibrio, e non sempre a favore dell’Uomo.

In I prati dopo di noi ho adorato profondamente la storia di amicizia tra la ghiandaia e Johannes, un legame nato dalla gratitudine, ma cresciuto nella gratuità reciproca. Così come ho gioito quando finalmente i tre protagonisti si sono incontrati e (ri)conosciuti. E altrettanto profondamente ho sofferto, prima di capire e di essere avvolta da un respiro di speranza.

Righetto ci porta ancora una volta in cima alle sue adorate montagne, descrivendone gli abitanti (flora e fauna) in modo eccezionale, anche con termini ricercati. Ma questa volta ci mette davanti a una grande (e scomoda) verità: homo naturae lupusest. Ma la Natura può sopravvivere senza l’Uomo, non viceversa.


Perché leggerlo → Perché abbiamo bisogno di riflettere su quello che stiamo lasciando a chi verrà dopo di noi.
Buona lettura!

- Annalisa - 
Certe esistenze non finiscono mai, semplicemente si trasformano in una nuova vita.

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