Editore: Longanesi
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Il virus era venuto a scompigliare la stabilità solo apparente di certi dissesti affettivi. Perché le epidemie sono come le guerre: passano sopra i legami con un evidenziatore e non consentono più di guardare altrove.
Mattia, nove anni allora, sessantanove quando decide di raccontare come ha vissuto lui quello strano 2020, quando tutto è cambiato e non si poteva più uscire da casa, quando la scuola non era più quella dei banchi ma quella delle videolezioni online, quando dopo anni si è ritrovato a convivere nuovamente con quel padre che gli bastava vedere una volta al mese, o anche meno.
Mia madre aveva un corpo da statua avvitato a un volto da ragazzina. Aveva anche un nome russo e bellissimo, Tania, ma tutte le sue amiche lo storpiavano in T’ansia [...], bastava un colpo di tosse di uno dei suoi figli per mandarla in affanno.
A casa con lui abitano la madre Tania e la sorella Rossana. Tania/T’ansia è insegnante di ginnastica, ex nuotatrice e perennemente sulle spine; Rossana è alle prese con i primi amori e la tipica ribellione adolescenziale. E già così ci sarebbero buoni ingredienti per una quarantena esplosiva.
Si chiamava Andrei, ma non era russo. Era un Andrea che la nonna aveva coniugato al condizionale per sottolineare il suo modo ipotetico di muoversi nel mondo. Indeciso a tutto, rappresentava quanto più di lontano potesse esserci dalla mia idea di supereroe. E io, di supereroi, ne avevo un bisogno disperato.
Mattia non ha un gran rapporto con il padre. Lo vede poco, e quelle rare volte vanno a prendere il gelato sempre nello stesso posto, che piova o splenda il sole. Non riesce nemmeno a ricordarsi che il figlio non ama la panna. Vive a Roma con la nuova fidanzata, è avvocato ma ha aperto un ristorante con un menù tutto a base di riso. Nel momento peggiore in cui potesse farlo. È a Milano quando il Presidente del Consiglio annuncia il lockdown totale del Paese. Così Mattia se lo ritrova in casa, di nuovo, a scombussolare la vita di madre e figlio. Rossana no, lei lo adora come fosse il suo vero padre. E ora?
L’unica persona pressocché normale sarebbe stata nonna Gemma, se non si fosse assegnata il compito di ingozzarmi di pastasciutte. Ne aveva preparate ben tre: penne lisce al pesto, penne lisce al tonno e penne lisce al pomodoro. Sugli scaffali del supermercato erano rimaste soltanto penne lisce, evidentemente – pensavo – non le digeriva nessuno.
Nonna Gemma è l’emblema della saggezza. Nonostante abitino nello stesso palazzo, Mattia non può andarla a trovare per paura di portarle il virus. Così si parlano da un piano all’altro, grazie a un telefono senza fili che il vicino di nonna Gemma ha creato per loro. È a lei che il piccolo affida i suoi dubbi e le sue angosce. Oltre che a Puff, il suo morbidosissimo... pouf.
“Tu non sei un personaggio tragico. Tu sei una tragedia! E mi sei ripiombato addosso nel bel mezzo di un’altra tragedia!”
La convivenza forzata tra Mattia, Rossana, T’ansia e Andrei non può che esplodere come una bomba a orologeria. Tra le regole imposte dalla madre e, in un certo senso, l’irresponsabilità del padre, in una situazione come quella creata dalla chiusura del mondo ogni sentimento, ogni parola e ogni azione sono enfatizzati. Ma forse è quello di cui avevano bisogno, come famiglia, per ritrovarsi o riconoscersi. E in nessun’altra situazione lo avrebbero fatto.
“Dopo quello che ho visto qui dentro in queste settimane, il rancore è una perdita di tempo che non mi posso più permettere.”
Attraverso personaggi forse un po’ romanzati e a tratti anche burleschi, Massimo Gramellini racconta con la sua raffinata delicatezza uno dei periodi più bui che la società moderna abbia dovuto affrontare. Senza fare paragoni con altre epoche, il Covid-19 ha ribaltato le certezze di una generazione intera, ha messo in discussione diritti inalienabili, ha tirato fuori il meglio e il peggio di ognuno di noi. C’è chi ha colto il tutto come un’opportunità, chi no.
Ero convinto che la chiusura delle scuole mi avrebbe reso finalmente libero, e se allora qualcuno mi avesse detto che la vera libertà consiste nel darsi delle regole gli avrei fatto una pernacchia.
Attraverso il racconto del piccolo Mattia, ripercorriamo quelli che sono stati i mesi iniziali, con le penne lisce al supermercato, la didattica a distanza, i cartelli color arcobaleno alle finestre, gli applausi e i canti. Ma anche con le sirene che squarciavano il silenzio delle strade, i bollettini della sera e le code di furgoni piene di persone che non ce l’avevano fatta.
C’era una volta adesso è un invito a non dimenticare: a non dimenticare le sensazioni, le persone, le difficoltà, le immagini, le cose buone che ci hanno circondato in quei mesi, e che in qualche misura ci circondano ancora. E lo fa attraverso la voce di un bambino, di quella fascia di età che mostrerà per più tempo gli effetti che la pandemia e le sue conseguenze sociali hanno portato.
Perché leggerlo → Per non dimenticare.
Sembravamo precipitati dentro un esperimento esistenziale che l’assenza di ore d’aria rendeva ogni giorno più estremo. Nel chiuso ermetico delle case, le persone erano costrette a guardarsi negli occhi, qualcuna addirittura allo specchio, e non tutte reggevano lo sguardo.
Bella recensione, mi ispira.
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