Autore: Gianluca Antoni
Editore: Salani
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Meglio soli che mal accompagnati, recita un detto. Un’emerita boiata, penso io. Meglio mal accompagnati da un amico cacasotto che soli, decisamente meglio. Soprattutto se sei un ragazzino e ti attendono giornate in montagna, in mezzo ai boschi, alla ricerca del tuo cane.
Diciamoci la verità: quanti di noi sarebbero disposti a lasciare tutto, zaino in spalla, e ad avventurarsi giorno e notte in mezzo a boschi sconosciuti per seguire un amico, umano o animale che sia? Sulla carta in molti, nella realtà un po’ meno. Ma forse perché crescendo si perde quella sconsideratezza che si ha da ragazzini, quell’irrazionalità che porta ad agire senza pensare alle conseguenze. E chi lo dice che sia poi così sbagliato? Di sicuro non lo è stato per Filo e per Rullo, i protagonisti del libro di Gianluca Antoni.
Rullo è il tipo da senso di colpa. A dire il vero, lui è il tipo con la gamma completa delle emozioni, a differenza di me.
È un dato di fatto: spesso le migliori accoppiate sono quelle formate da personalità e caratteri molto diversi, se non opposti. E così sono inizialmente Filo e Rullo, due ragazzini in equilibrio su quel filo che separa l’infanzia dall’adolescenza: testardo, deciso e abbastanza coraggioso per entrambi il primo, quanto timido e timoroso il secondo.
Di quella casa, e di Guelfo, il paese racconta le peggio cose. Racconta che Guelfo ha ucciso il figlio, e che nelle notti prive di vento si può ancora sentire il pianto di un bambino imprigionato.
La loro avventura inizia una mattina d’estate quando, invece di partire per il campo scout, decidono di andare alla ricerca di Birillo, il cane di Filo, scappato mesi prima durante un temporale scoppiato mentre era a tartufi con il padre del ragazzino, e mai più tornato. Quale miglior “prigione” può aver intrappolato Birillo se non una fattoria isolata dal resto del paese, sui monti, recintata a più non posso e protetta, oltre che dal burbero Guelfo Tabacci, dal diabolico cane Diablo (nomen omen)? Da quell’esperienza ne usciranno fortemente provati e cambiati.
Si sa che i bambini hanno una fantasia gigante e si inventano chissà quali cose. Probabilmente ancora di più se vivi in un paesino sperduto e giochi tutto il tempo con le bambole, da sola.
Non sono soli in questa avventura, ma hanno due alleati, che conoscono proprio sul posto: Amélie e Scacco, due ragazzini del paese che forse non aspettavano altro che qualcosa che movimentasse la loro estate. Lei, un po’ principessina dei nonni, sveglia, coraggiosa e altruista; lui, che vive nel suo castello sopra le nuvole, ha paura del contatto fisico ma ha una bontà d’animo e uno spirito di sacrificio che molti adulti non hanno.
Se può piangere mio padre, posso farlo anch’io. E questa è una di quelle rare volte in cui piangere è bello. Bello bellissimo. Da uomini. Veri.
Il rapporto tra Filo e il padre non è semplice. Sono rimasti soli da qualche tempo e non sono ancora riusciti a ritrovare il loro equilibrio. Ci sono cose, poi, che i figli farebbero fatica a comprendere, e altre per cui i genitori dovrebbero osare e fidarsi della capacità di capire e di adattarsi dei loro piccoli. Il giusto equilibrio, insomma.
“Quanti al mondo vorrebbero essere una rondine, oppure un’aquila o un delfino o un leone? Quanti?”
“Be’, tanti, immagino”.
“E una zecca invece?”
“Te l’ho già detto, nessuno”.
“Quindi sono l’unico al mondo a scegliere di voler essere una zecca”.
“E allora, qual è il vantaggio?”
“Essere unico al mondo è il vantaggio, Rullo! Ti pare cosa da poco?”
Io non ti lascio solo è un
libro colmo di spunti di riflessione, di temi su cui fermarsi a pensare. A
partire da quello più evidente dell’amicizia, quel sentimento forte che ci
porta ad agire con spensieratezza e che può legare per tutta la vita,
nonostante la distanza, nonostante le differenze. Filo si spinge fino a mentire
a suo padre pur di ritrovare Birillo e vuole che Rullo gli sia accanto, e
quest’ultimo lo segue, anche con tutta la paura e i dubbi del caso.
L’amore famigliare, quello che sembra mancare da quando la madre di Filo non
c’è più, ma che in realtà aveva solo bisogno di essere ritrovato. Come quello
tra Guelfo e il suo Tommaso; lui, così burbero e talvolta duro e manesco con
l’ex moglie, non avrebbe mai torto un capello al figlio.
Ma ci sono anche temi molto delicati, come la violenza, sia sulle donne che sui minori. In entrambi i casi, a torto o ragione, ne è protagonista Guelfo. I compaesani lo accusano di aver ucciso il figlio e lui stesso ammette di aver alzato le mani sulla ex moglie, “per il suo bene”. E ammettiamolo, la sua descrizione, fisica e comportamentale, non ci aiuta a restare dalla sua parte, a ignorare i pregiudizi che inevitabilmente saltano in bocca pure a noi lettori.
La delicatezza di Scacco, il “matto” del paese, che tutto capisce al di là del detto o non detto, e che è disposto a sacrificarsi per colui, che a tutti gli effetti, fino a qualche giorno prima era uno sconosciuto.
Quello di Gianluca Antoni è un libro che si fa fatica a collocare in un unico genere narrativo. È sviluppato seguendo alternativamente i diari dei due protagonisti, più qualche incursione del maresciallo De Benedittis che ci aiuta a tenere le fila della storia, anch’essa divisa tra passato e presente. Ritroviamo i canoni del romanzo di formazione, perché i due ragazzi ne “escono” diversi, così come i rapporti tra i vari personaggi. C’è anche un tono di mistero, che è quello della morte del figlio di Guelfo e che il maresciallo è da una vita che cerca di risolvere. Ci sono colpi di scena impensati, improvvisi, inimmaginati. E a volte sembra anche un libro di avventure per ragazzi. Ma è anche una storia che parla del dolore, di quello profondo, e di come ognuno di noi sviluppi un suo modo per affrontarlo e sopravvivergli.
Le pagine scorrono via, la scrittura segue quello che è il livello di formazione e cultura dei singoli personaggi. Si legge volentieri e, tra sorrisi e qualche sospiro, si arriva all’ultimo punto in un nonnulla.
Perché leggerlo → perché è un libro che ha tanto dentro di sé, ma non trattiene nulla e si concede con semplicità e sincerità.
Buona lettura!
Lui, come per incanto, chiude le braccia a tenaglia e stinge forte fortissimo Filo. È una gara per chi stringe di più. È un abbraccio olimpionico da medaglia d’oro, mi ci butto anch’io e ci puoi giurare che piangiamo tutti, non dico come femminucce, ma poco ci manca. Ma chissenefrega!
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