Blogtour The black circle: Incipit


Inizia il viaggio in una storia che sono certa vi intrigherà moltissimo: parlo di quella narrata da Alessia Doria in The Black Circle - Morgan's Family Series. Vi lascio all'incipit e poi a una sorpresa.
Ricordo che la parte grafica è stata realizzata dalla bravissima Catnip Design.
Non perdete le prossime tappe del blogtour.

The black circle - Morgan's Family Series
Alessia Doria
Self publishing

Trama
Teresa Morgan. Un nome come un altro che, inconsciamente, si finisce con l’abbandonare tra le pieghe della memoria. Cresciuta a Rowley, Massachusetts, da un padre che vedeva in lei un mostro manovrato dal male e da una madre che non ha saputo dosare equamente l’amore verso le sue figlie, Teresa ha creduto di poter fuggire dall'opprimente cittadina che l’ha vista crescere; pronta a coronare il suo sogno d’amore con il giovane Adam. La realtà, però, è ben diversa dai sogni intrecciati dal cuore e la giovane figlia del pastore si ritrova a fare i conti con la durezza della sua epoca. È il 18 ottobre del 1692 quando il suo nome e quello della sorella minore vengono soppiantati da un appellativo permanente, una seconda pelle così stretta da riuscire a soffocarle, simile al cappio che ha circondato il loro collo poco prima di venire impiccate. Perché è questo il destino riservato alle streghe, le abominevoli serve del male. Sono trascorsi tre secoli da quel soleggiato mattino d’autunno; tre secoli da quando Teresa e Hannah sono state sacrificate da chi avrebbe dovuto proteggerle. Ed ora, riportata in vita in un luogo e in un tempo ben lontani da quelli che era solita chiamare casa, Teresa ha l’opportunità di ottenere la sua vendetta. Ma cosa succede quando il destino ti mette davanti ad un bivio? Cosa succede quando l’amore finisce col rallentare la sua corsa, lasciando alle tenebre il dominio su ogni cosa? Tra antiche rivalità, amori perduti e un cacciatore irlandese particolarmente ansioso di vedere le streghe estinte, Teresa scoprirà che i segreti più oscuri sono quelli legati alla famiglia. Solo una strada riuscirà a condurla verso ciò che più brama, costringendola a scontrarsi con la parte più oscura della sua anima. Quella che fa di lei un mostro. Ciò che la rende….Una strega.

→ INCIPIT ←

«Dovremmo parlare di qualcosa.»
La sua voce calda, quasi gentile, echeggiò tra le strette pareti della stanza, apparendo più profonda di quanto ricordassi.
Sebbene nemmeno io fossi una persona empatica, potevo comunque ritenermi abbastanza brava ad inquadrare le persone che mi stavano davanti e lui, di certo, non era il tipo che perdeva il suo tempo a parlare con gente come me. Al contrario, nonostante ci conoscessimo da poco, lo avevo fin da subito ritenuto il classico essere umano silenzioso, a tratti scorbutico: più incline ad ignorare chi gli stava davanti, piuttosto che vedersi costretto ad ascoltare argomenti che non lo riguardavano affatto.
Eppure, scelse di posizionarsi di fronte a me, impedendomi la visuale di quella porta divenuta improvvisamente il mio peggiore incubo.
«E di cosa dovremmo parlare?!» gli chiesi secca, incrociando le braccia al petto e cercando in tutti i modi di apparire calma e controllata. 
Da un po’ avevo la mente annebbiata, ricolma di emozioni che andavano dalla claustrofobia al panico. Le sentivo dibattersi l’una contro l’altra, in una sorta di contesa che vedeva me come unica perdente. 
Il giovane dai capelli neri e dagli abiti altrettanto scuri, rimase in silenzio per un attimo, studiandomi con un’attenzione a dir poco provocatoria. Non sopportavo che qualcuno cercasse di capire quello che preferivo tenere per me. Dopotutto c’era un motivo se me ne stavo zitta, no?
Quasi a voler fingere di non trovarsi in un posto ricoperto da umidità e muffa, l’uomo dal volto costantemente accigliato indossò una delle sue espressioni più sfacciate, puntando su di me i suoi occhi glaciali. Stette in silenzio per qualche secondo, forse alla ricerca di un argomento abbastanza interessante, ma non eccessivamente personale.
Non eravamo amici, quello era certo e il modo in cui si rivolgeva a me ne era una continua conferma. Non mi chiamava per nome, preferendo usare soprannomi poco lusinghieri; aveva sempre la fronte corrugata quando si rivolgeva a me e, in particolar modo, faceva il possibile per non incrociare lo sguardo col mio, come se temesse di dare di stomaco da un momento all’altro. Mi disprezzava, lo sapevo. Eppure, dopo quanto accaduto la notte prima, c’era qualcosa di diverso.
Lui era cambiato.
Per quanto si sforzasse di mostrare un certo astio nei miei confronti, l’uomo di fronte a me non era più lo stesso che avevo incontrato in quella grotta fredda e umida. Inspiegabilmente, l’insaziabile bisogno di staccarmi la testa con la sua spada sembrava essere svanito insieme al suo sguardo folle. 
Se solo ripensavo al nostro primo incontro sentivo ancora le costole indolenzirsi, seguite a ruota da ogni parte del corpo che l’idiota in questione si era divertito a prendere a calci. Chissà se succedeva anche a lui. Chissà se, nel momento in cui si concedeva il lusso di guardarmi, sentiva la vistosa cicatrice sullo zigomo pulsare, alimentando l’astio che nutrivamo l’uno nei confronti dell’altro. Per quanto mi forzassi di trovare una spiegazione plausibile, non riuscivo a capire cosa lo avesse spinto ad abbandonare la sua fedele rabbia, scegliendo di mostrare un’umanità di cui lui e i suoi compagni erano sempre stati sprovvisti. Loro e l’uomo che avevo amato. 
Lo fissai, non preoccupandomi di irritarlo con quel mio modo di fare. Avrei osato dire che anche quei suoi occhi chiari, prima freddi come il ghiaccio, ora apparissero contornati da un velo di sentimento che andava oltre l’odio che provava per quelle della mia categoria. D’altra parte, era inconcepibile avesse deliberatamente scelto di aiutarmi, andando contro tutto ciò in cui credeva.
Andando contro di Lei.
Deglutii, nervosa, chiedendomi se fosse palese l’angoscia che sentivo farsi sempre più pressante al centro dello stomaco. Odiavo sentirmi debole, soprattutto se davanti a me c’era qualcuno di cui non mi fidavo affatto. Tuttavia, per quanto mi sforzassi di apparire una donna tutta di un pezzo, avevo l’impressione che il nemico del mio nemico riuscisse a fiutare la mia paura, facendomi sentire in difetto.
«Beh, potresti parlarmi del giorno in cui ti hanno impiccata. Sarebbe illuminante!» lo chiese con estrema tranquillità, come se avesse semplicemente preteso di conoscere il mio piatto preferito.
Ok, forse avevo parlato troppo presto; l’unico compagno di cella e, con ogni probabilità, l’ultima persona che avrei visto per il resto della mia breve vita, era un cacciatore senza il minimo briciolo di umanità che mi considerava uno scherzo della natura, immeritevole di alcun genere di gentilezza.
E pensare che nelle storie ero io il mostro della situazione. 
«Stai scherzando?» puntai gli occhi su quel volto segnato dalle percosse, desiderando per un attimo dargli una spinta abbastanza forte da farlo sbattere contro il muro.
«Non vedo perché dovrei scherzare proprio con te» aggiunse, sorridendo.
Di nuovo quel tono calmo e quell’aria strafottente. 
«Mi stai davvero chiedendo di parlarti del giorno in cui sono morta, quando sto per morire… di nuovo?!» non avevo mai avuto un tono così isterico, non che ricordassi almeno. 
«In effetti, devo dire che morire ti riesce piuttosto bene!»
«Io, invece, mi chiedo, come sia possibile che un’idiota come te sia riuscito a rimanere in vita così a lungo?!» esclamai acida, deviando lo sguardo da quegli occhi, adombrati da una tempesta che io stessa sembravo alimentare.
Strinsi i pugni, sforzandomi di scaricare la rabbia, preferendo non confermare la sensazione di quel sorriso beffardo puntato su di me. Quello non era il momento per mostrarsi suscettibile, soprattutto nei confronti di qualcuno di cui mi importava ben poco. Era ovvio che un tipo come lui si divertisse alle mie spalle, aveva fatto cose ben peggiori in passato; come me del resto.
A causa della mia natura, ero sempre stata una ragazza solitaria, più incline a leggere un buon libro, piuttosto che circondarmi di persone a cui non andavo a genio. Certo, mi ero sempre distinta per il mio modo di fare impulsivo e poco ragionevole, ma non avevo mai perso tempo a covare rancore; solo mio padre riusciva ad accendere la mia rabbia, rovinando infinite giornate che avrei potuto trascorrere con Adam.
Le cose, però, erano cambiate e in cuor mio sapevo di essere solo la brutta copia della ragazza spensierata che ero sempre stata. 
All'improvviso, la stanza cominciò di nuovo a tremare, dando il via ad un meccanismo di cui avevo ormai compreso lo scopo.
Il pavimento iniziò a vibrare sotto i nostri piedi, prima in maniera quasi impercettibile, fino ad inondare il nostro corpo, rivoltando lo stomaco di entrambi.
Sapevo che quello era solo l’inizio di quanto sarebbe accaduto in seguito; una sorta di campanello d’allarme in vista della nostra punizione per non aver acconsentito alla gentile proposta concessaci dai padroni di casa.
La parete a quindici metri da noi iniziò la sua seconda avanzata, assorbendo il pavimento sotto di sé e riducendo ad ogni secondo i metri che la distanziavano dai nostri corpi. Quella sorta di cella, in principio ampia poco più di una ventina di metri, si stava ridimensionando sotto ai nostri occhi, declamando un epilogo facile da prevedere. 
Richiamati da una forza riconducibile all’istinto, io e il Cacciatore ci alzammo in piedi, appoggiando la schiena alla parete alle nostre spalle, in una sincronia quasi invidiabile. Invasa dal panico, abbassai lo sguardo sulle nostre mani, trovandole inspiegabilmente intrecciate; quasi che un simile gesto fosse stato dettato da una forza esterna. Avrei dovuto attendere molto tempo prima di scoprire chi di noi due avesse ricercato per primo quel contatto.
Riportando lo sguardo davanti a me, mi sentii andare in iperventilazione, imprecando contro il mio stesso corpo per il modo in cui stava sprecando la poca aria rimasta. Un rivolo di sudore cominciò a scendermi dalla fronte e le labbra parvero divenire improvvisamente secche e disidratate. Quanto tempo era trascorso dal mio ultimo pasto? Dall’ultima sorsata d’acqua? Una cosa era certa, se avessi saputo che sarei morta di lì a poco mi sarei concessa qualcosa di più sfizioso di un misero petto di pollo alla griglia.
Dal momento in cui avevamo messo piede in quel luogo, il tempo sembrava essersi congelato, impedendo qualsiasi genere di orientamento. Tempo e spazio erano divenuti inafferrabili, facendoci precipitare in una costante sensazione di paura, dove la minaccia di venire attaccati aumentava ad ogni passo.
Eppure, l’idea di morire senza combattere riusciva a mandarmi su tutte le furie, alimentando l’innato istinto insito nell’essere umano di riuscire a sopravvivere ad ogni costo. Forse, però, più che paura di morire la mia era rabbia nei confronti del destino, così puntuale nel lanciarmi tra le braccia della morte senza prima avermi concesso l’opportunità di ottenere le risposte che cercavo.
Nervosa, posai lo sguardo sull’angolo destro della stanza notando come quella vibrazione innaturale avesse iniziato a far emergere sassi e frammenti di ossa dal terreno. Davanti a quell’immagine raccapricciante, fu impossibile non chiedersi cosa si sarebbe provato nel morire schiacciati tra due pareti. Avremmo percepito le nostre ossa spezzarsi, divenendo un tutt’uno con gli organi? O sarebbe stato estremamente rapido e indolore, simile ad un abbraccio troppo vigoroso?
Forse avevo semplicemente letto troppi libri, concedendo alla mia mente una riserva di fantasia così vasta da rendere la realtà davanti a me ancora più spaventosa.
Tentando nuovamente di ritrovare il controllo, mi costrinsi serrare gli occhi, così forte da intravedere dei punti di luce galleggiare davanti a me. Inspirai, cercando con tutta me stessa di ignorare il rumore stridente emesso dal muro, troppo forte per sparire dietro ad un mio sciocco desiderio. 
“Non perdere il controllo. Non perdere il controllo” continuai a ripetermi, sperando di riuscire a combattere l’onda del panico.
Di scatto, il cacciatore al mio fianco lasciò andare la mia mano, cominciando a guardarsi attorno, fuori di sé. Anche lui sembrava aver smesso di sottovalutare la situazione, ma stranamente la cosa non riuscì a farmi sentire meglio. Era nervoso e il modo in cui la vena alla base del collo aveva iniziato a pulsare ne era la chiara dimostrazione. Non dovetti attendere molto prima di vederlo dar libero sfogo alla sua rabbia, tempestando di pugni il muro su cui era rimasto appoggiato fino a poco prima.
La mancanza d’ossigeno, dopotutto, non aiutava nessuno, soprattutto ora che avevamo perso altri sei dei quindici metri a nostra disposizione. 
«Ehi, lo so che mi sentite?! Non appena uscirò da qui vi ucciderò tutti… uno dopo l’altro. Maledetti figli bastardi!» urlò, furibondo, all’apparenza più rivolto al nulla che a qualcuno in particolare.
Si era nuovamente lasciato andare a quel suo insolito accento europeo, come accadeva ogni qualvolta le emozioni prendessero il sopravvento sul suo temperamento da soldato impeccabile.
«Ma certo, chissà perché non ci ho pensato subito? Imprechiamo contro i nostri aguzzini. Davvero geniale!» esclamai, sussurrando le ultime parole, infastidita.
«Almeno io non mi faccio prendere dal panico.»
Quasi irritata dalle nostre voci, la parete si bloccò di colpo, portando via con sé anche il mio bisogno di rispondere a tono al mio sfiancante compagno di cella.
Riuscendo per un attimo a mettere da parte il reciproco disgusto, io e il cacciatore ci guardammo negli occhi, chiedendoci mentalmente quanto sarebbe durato quel silenzio innaturale.
«Temo che la prossima sarà l’ultima!» esclamò, dando voce ai miei pensieri.
Sforzandomi di controllare l’ansia, feci un rapido calcolo dei numerosi metri che avevamo perso in quella seconda ondata. Troppi per infondermi un benché minimo senso di tranquillità.
Esausta, mi lasciai scivolare a terra, mantenendo la schiena ben premuta al muro.
“La prossima sarà l’ultima” mi ripetei quelle parole nella mente come un mantra, consapevole del grado di verità di cui erano rivestite.
Faceva male ammetterlo, ma aveva ragione. 
E ora? Cosa si faceva in un momento come quello, senza nessun piano in grado di tirarci fuori dai guai? Ci si arrendeva? Si ripensava alla propria vita passata elencando i reciproci rimpianti?
Rimanemmo in silenzio per un tempo interminabile, ognuno assorto nei propri pensieri.
Se avessi saputo dove mi avrebbe portato la decisione di trovare i Figli Oscuri, probabilmente mi sarei mossa diversamente, dando la priorità ad altri aspetti. Come la vendetta.
Forse era quello il mio destino e, per quanto mi ostinassi a combatterlo, finivo sempre col trovarmi sconfitta, in attesa che qualcun altro decidesse quando far scadere il mio tempo sulla terra, rispedendomi all’Inferno.
«Ricordo bene il giorno della mia impiccagione» le parole uscirono da sole, spezzate dal fiato corto.
Era curioso il modo in cui risuonava la mia voce all’interno di quella prigione. Stentai quasi a riconoscerla; troppo roca, impersonale, simile a qualcuno privo di interesse ed estraneo a quei fatti che stavo per raccontare. 
Tuttavia, io non ero affatto un’estranea.
Avevo vissuto ogni singolo attimo di quel giorno; ogni sensazione, dolore, lacrima e, con ogni probabilità, nulla di tutto ciò avrebbe lasciato il mio cuore, neppure se qualcuno fosse riuscito a restituirmi chi avevo perso.
Mentre cercavo di trovare le parole giuste, l’uomo accanto a me, per un attimo, mise da parte i panni del cacciatore. Mostrando una calma che, a mio parere, stonava con il suo sguardo penetrante, si sedette a poca distanza da me, fissando la ferita che portava sul palmo della mano. La stessa che condividevamo dalla notte precedente, evitando qualsiasi contatto visivo con la sottoscritta. 
Era difficile da spiegare, ma quel suo atteggiamento scorbutico era in grado di infondermi una certa calma; una certezza, in un mondo che di certo non aveva nulla, non per me almeno.
Eravamo rinchiusi in quella stanza poco illuminata da così tanto tempo che l’aria si era fatta stantia e, nonostante fossimo soli, la sensazione di soffocamento era divenuta insopportabile. La puzza di muffa si era fatta insopportabile, come l’umidità, così ancorata alla roccia da aver intaccato anche le nostre ossa. Chissà, forse fu proprio quel senso di inadeguatezza a darmi la forza di continuare a parlare, riuscendo in qualche modo a riportarmi indietro di secoli, al giorno in cui ero morta.


→ SORPRESA ←
Vi ricordo che una copia cartacea del romanzo con segnalibro coordinato cercano casa.
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8 commenti :

  1. Un trip vero e proprio, un viaggio nel tempo pieno di colpi di scena, impressionante! Sono ansiosa di sapere come va a finire.

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  2. Questo libro mi ha attirato già dalla copertina: bellissima!! La trama è davvero intrigante...Non vedo l'ora di saperne ancora di più

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  3. Come posso non partecipare? <3 Sono rimasta folgorata da questo romanzo fin dal primo sguardo! La mia libreria Freme per averlo <3 Bellissima tappa!

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  4. Che bello l'incipit, mi piace molto lo stile usato riesce a trasportarmi nella lettura subito. Una lettura da non perdere.

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  5. Mamma mia un incipit davvero da sballo, sono sicuro che questo libro piacerà a tanti!
    Luigi Dinardo

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  6. L'incipit è veramente fantastico!Davvero sono curiosa di leggere il libro.
    FB: Chicca Tamburrino
    e-mail: pleadi@inwind.it

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  7. Spero di leggerlo �� e un libro davvero interessante

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