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Sono molto felice di poter condividere con voi la mia recensione in anteprima di "Quelle belle ragazze" l'avvincente thriller di Karin Slaughter che uscirà il 31 marzo e che ho avuto il piacere di leggere in anteprima grazie ad Harper Collins.

Quelle belle ragazze
di Karin Slaughter
Harper Collins

Trama
Claire e Lydia sono sorelle che non si parlano da più di vent'anni. I loro rapporti si sono interrotti quando Claire ha deciso di sposare Paul, affermato architetto, e di diventare la sua sofisticata moglie trofeo. Lydia, invece, è una madre single, ha una storia con un ex detenuto, e fatica ad arrivare alla fine del mese. Nessuna delle due è riuscita a superare la tragedia che ha colpito la loro famiglia quando Julia, la sorella maggiore, è scomparsa senza lasciare tracce, e la notizia che un'altra ragazza, anche lei giovane e bellissima, è sparita nel nulla in circostanze molto simili, di colpo riporta nelle loro vite tutto l'orrore e lo strazio del passato. Come se non bastasse, pochi giorni dopo Paul viene ucciso. Che legame c'è tra la scomparsa di un'adolescente e l'omicidio di un uomo di mezza età a quasi venticinque anni di distanza? Accantonata la reciproca diffidenza, le due sorelle si alleano per dissotterrare i segreti che hanno distrutto le loro vite, finendo per scoprire una scioccante verità dove meno se l'aspettano.

***

Un thriller mozzafiato, che ci porta a fare i conti con paure ataviche: ci possiamo fidare di chi abbiamo intorno? Una persona può sparire nel nulla senza lasciare tracce? Il dolore quanto può intaccare i nostri cuori e distruggere delle vite?

Quelle belle ragazze di Karin Slaughter è uno dei thriller più belli che mi sono capitati sotto mano da un po' di tempo a questa parte: inquietante tanto da togliere il sonno, trascina il lettore dentro un incubo da cui non sembra esserci via d'uscita, più si va avanti e più è l'orrore a predominare.

Mi sono letteralmente persa per due giorni nelle pagine di questo romanzo che, insieme al prequel Capelli biondi, occhi azzurri (recensione e link acquisto) mi ha fatto scoprire un'autrice di  grande talento della quale voglio assolutamente leggere altri libri.

Due sorelle che si incontrano di nuovo dopo più di vent'anni, una famiglia distrutta, fatti di cronaca che riportano alla luce ferite mai guarire e scoperte raccapriccianti. Leggendo facciamo i conti con i personaggi, con il loro pesantissimo bagaglio emozionale, entriamo dentro le loro teste e percepiamo tutto il terrore e il dolore di una spirale discendente che  sembra non avere fine. Ho trovato le protagoniste fragili, ma al tempo stesso capaci di trovare una forza invidiabile nel momento del bisogno.
Leggendo ho avuto paura, lo ammetto, spesso mi sono guardata intorno a disagio e circospetta perché la Slaughter ti trascina dentro una storia che ha tutte le caratteristiche di un film horror che si trasforma in qualche cosa di reale.

Lo stile di scrittura è incalzante, a tratti volutamente di difficile digestione, cruento: questo regala una veridicità spaventosa al libro.

Non manca anche una fine analisi psicologica di praticamente tutti i personaggi.

Se dovessi dare un voto, sarebbe, nel suo genere, cinque stelline con lode

Non lasciatevelo sfuggire!

Ed ecco qui il prologo

Quelle belle ragazze, Karin Slaughter
Quando sei sparita, tua madre mi disse subito che scoprire cosa ti era successo di preciso poteva essere peggio che non sapere mai. Non facevamo che litigare in proposito, perché all’epoca litigare era l’unica cosa che ci univa.

«Conoscere i dettagli non lo renderà più sopportabile» mi ammoniva. «I dettagli ti distruggeranno.»

Io però sono uno scienziato, ho sempre bisogno dei fatti. La mia mente non voleva saperne di smettere di formulare ipotesi: rapimento, stupro, profanazione.

Una ribelle.

Era quella la teoria dello sceriffo, o almeno la scusa che ci rifilava quando pretendevamo risposte che non era in grado di dare. Tua madre e io eravamo sempre stati segretamente orgogliosi della tua testardaggine e della passione che mettevi nei tuoi ideali. Quando sei scomparsa abbiamo capito che quelle stesse caratteristiche erano considerate dimostrazione di intelligenza e ambizione in un uomo e fonte di guai in una giovane donna.

«Le ragazze scappano in continuazione.» Lo sceriffo si strinse nelle spalle come se tu fossi una persona qualsiasi, come se lasciando passare una settimana, un mese, magari anche un anno, ti avremmo visto tornare nelle nostre vite con qualche debole scusa su un ragazzo che avevi seguito o un’amica con cui avevi deciso di fare il giro del mondo.

Avevi diciannove anni. Secondo la legge, non ci appartenevi più. Appartenevi a te stessa, al mondo.

Eppure organizzammo squadre di ricerca, chiamammo ospedali, stazioni di polizia e rifugi per senzatetto. Distribuimmo volantini in tutta la città, andammo a bussare di porta in porta, parlammo con i tuoi amici. Controllammo gli edifici abbandonati, le case distrutte dal fuoco nella zona più malfamata della città. Assumemmo un detective privato che ci costò metà dei nostri risparmi e un veggente che si prese l’altra metà. Ci appellammo ai media, che però persero interesse quando rimasero senza particolari scabrosi da raccontare in tono concitato.

Ecco cosa sapevamo: eri stata in un bar. Non avevi bevuto più del solito. Avevi detto alla tua amica che non ti sentivi bene e che saresti tornata a casa, e quella è stata l’ultima volta in cui sei stata vista.

Negli anni abbiamo ricevuto molte false confessioni. Il mistero della tua scomparsa era un grande richiamo per i sadici, che ci fornivano di proposito dettagli indimostrabili, indizi impossibili da seguire. Perlomeno quando venivano smascherati dicevano la verità: i sensitivi invece mi accusavano sempre di non impegnarmi abbastanza nelle ricerche.

Perché io non ho mai smesso di cercarti.

Capisco perché tua madre ha rinunciato, o almeno è quello che ha dovuto far credere. Doveva ricominciare a vivere, se non per se stessa, per quello che rimaneva della sua famiglia. Tua sorella minore abitava ancora con noi. Era silenziosa, sfuggente e frequentava il genere di ragazze che la convincevano a comportarsi nel modo sbagliato. Come sgattaiolare in un bar per ascoltare musica e non tornare più a casa.

Il giorno in cui firmammo i documenti per il divorzio, tua madre mi disse che la sua unica speranza era che un giorno avremmo ritrovato il tuo corpo. Era a questo che si aggrappava, l’idea che prima o poi potessimo darti una sepoltura.

Le risposi che forse ti avremmo trovata a Chicago, Santa Fe, Portland o qualche altra cittadina in cui si riunivano gli artisti, dove eri finita perché eri sempre stata uno spirito libero.

Tua madre non fu sorpresa dalle mie parole. In quel periodo il pendolo della speranza oscillava ancora avanti e indietro, c’erano giorni in cui andava a dormire disperata e altri in cui tornava a casa con un paio di jeans o un maglione che ti avrebbe regalato quando fossi tornata.

Ricordo molto bene il giorno in cui ho perso ogni aspettativa. Ero nello studio veterinario in centro, al lavoro, e ci avevano portato un cane abbandonato. La povera creatura era in uno stato pietoso, aveva di sicuro subìto maltrattamenti. Era un labrador color miele, anche se il mantello era ingrigito per essere stato esposto agli elementi. Aveva del filo spinato conficcate nelle cosce, chiazze irritate senza pelo dove si era grattato o leccato troppo, o aveva fatto il genere di cose che i cani fanno quando vengono lasciati da soli e cercano di calmarsi.

Rimasi con lui per un po’, per fargli capire che era al sicuro. Mi lasciai leccare il dorso della mano, lo feci abituare al mio odore. Quando si fu calmato, cominciai a visitarlo. Era anziano, ma fino a poco tempo prima era stato ben tenuto, a giudicare dai denti. Una cicatrice chirurgica indicava che a un certo punto della sua vita una ferita a un ginocchio gli era stata curata con grande attenzione e con gran dispendio di soldi. L’evidente maltrattamento cui era stato sottoposto non aveva ancora fatto breccia nella memoria muscolare: ogni volta che gli avvicinavo una mano al muso, lui me lo appoggiava di peso sul palmo.

Guardai negli occhi tristi del cane e la mia mente mise insieme i dettagli della vita di quella creatura sventurata. Non avevo modo di conoscere la verità, ma il mio cuore sapeva cosa gli era accaduto: non era stato abbandonato. Si era allontanato, oppure si era liberato del guinzaglio. I proprietari erano entrati in un negozio, oppure erano partiti per le vacanze, e in qualche modo, per un cancello rimasto aperto per sbaglio, un salto oltre la recinzione, una porta lasciata socchiusa senza malizia da qualcuno che custodiva la casa, quella creatura tanto amata si era ritrovata a camminare per le strade senza avere la minima idea di quale fosse la direzione da prendere per tornare dai suoi cari.

Poi un gruppo di ragazzini, qualche mostro indefinibile o la combinazione dei due l’aveva trovato, trasformando un cane di famiglia in un essere terrorizzato.

Seguendo le orme di mio padre, ho dedicato la vita alla cura degli animali, ma quella fu la prima volta in cui feci un collegamento tra gli orrori cui la gente sottopone gli animali a quelli ancor più terrificanti che vengono inflitti agli altri esseri umani.

Trovai carne lacerata da colpi di catena, segni di calci e pugni. Ecco quale doveva essere l’aspetto di un essere umano quando finiva in un mondo che non lo apprezzava, non lo amava, non voleva che tornasse più a casa.

Tua madre aveva ragione.

I dettagli mi distrussero.

…non vedete l’ora di sapere come continua?
Quelle belle ragazze vi aspetta in libreria e su tutti gli store dal 31 marzo! Prenotate qui la vostra copia http://bit.ly/1QwGVgu e nell’attesa soddisfate la vostra fame di thriller con il prequel, Capelli biondi, occhi azzurri http://bit.ly/1LB9NHQ .

6 commenti :

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