Recensione: Il cactus non ha colpa di Roberta Marcaccio


La recensione di Il cactus non ha colpa di Roberta Marcaccio  - Triskell Edizioni. Ringrazio la casa editrice per la copia.
Ecco l'opinione di Annalisa. 



Titolo: Il cactus non ha colpa 
Autore: Roberta Marcaccio
Editore: Triskell Edizioni
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TRAMA


Alla soglia dei quarantacinque anni Rebecca perde l’unico amore a cui ha dedicato vita, anima e cuore. Il suo lavoro. Una lettera, consegnatale personalmente dall’amministratore delegato dell’azienda per cui lavora, cancella ventiquattro anni di carriera e la mette di fronte alla scelta più difficile che abbia mai dovuto affrontare: rimanere fedele a se stessa e chiudere per sempre una porta alle sue spalle. Ventiquattro anni di carriera fatti di rapporti umani, sedi di lavoro diverse, dalla Romagna al Piemonte, fino alla Valle d’Aosta, legami più o meno forti coi colleghi, amicizia e passione per un lavoro che a tratti diventa preponderante su tutto. La storia di Rebecca è brutalmente attuale. Lo ascoltiamo al telegiornale, lo leggiamo sui quotidiani ma quando capita diventa un duro rospo da ingoiare. Rebecca, Giuliano, Ilaria, Vittorio, non necessariamente in quest’ordine, sono i protagonisti di una vicenda in cui tante persone possono identificarsi. Il lavoro per molti è rifugio, consolazione, passione, si investono anni di vita e quando vengono a mancare certe condizioni ci si sente traditi, come se lo facesse l’amore della nostra vita. Che strada sceglierà Rebecca? Riuscirà a dare una nuova direzione alla sua vita? Il romanzo racconta con emozione, ma anche una punta di ironia, una storia come ne sono accadute tante e che non si augura a nessuno, anche se… non è forse vero che non tutti i cactus vengono per nuocere?




RECENSIONE

Il giocattolo è rotto. Era fatto di un materiale che non si può aggiustare: c’erano passione, dedizione, impegno, sacrificio. Ecco, proprio questo è il punto. Ho sacrificato una vita alla carriera e ho dedicato tempo ed energie alle persone con cui lavoravo: ho dato tutto quello che potevo senza risparmiarmi mai.

 Dopo ventiquattro anni di amore incondizionato e totale dedizione al proprio lavoro, come ci si può sentire quando tutto finisce, da un momento all’altro, senza alcun preavviso? Questo è quello che è successo a Rebecca dopo una vita dedicata a SoftGen, l’azienda in cui è entrata giovanissima, crescendo di anno in anno e andando a occupare ruoli e posizioni sempre più importanti e impegnativi. Fino al giorno in cui tutto finisce.

Ilaria colleziona vite spezzate. L’associazione di cui fa parte come volontaria è il rifugio di chi ha perso tutto, è in pericolo o è disperato.

Accanto a lei da sempre c’è Ilaria, sua amica fin dai tempi della scuola. Di lei sa tutto e la conosce forse meglio di quanto Rebecca conosca se stessa. Le è di sprone e di appoggio. È un forte appiglio per non cadere nel baratro.

Vittorio è una pioggia a dirotto. È acqua che scorre sulla pelle. Ha un sorriso che abbraccia, modi delicati, lo sguardo accogliente e la capacità di lavare via i pensieri.

Dopo tanti anni dedicati esclusivamente al lavoro, Rebecca apre uno spiraglio verso gli uomini e fa entrare Vittorio. Solo lui riesce a scalfire il muro che ha alzato nei confronti delle relazioni sentimentali. Non ne aveva tempo, semplicemente, e tutte le sue energie sono sempre state dirette verso il lavoro. Ma proprio il lavoro le ha permesso di incontrarlo.

Ha avuto la capacità di mandarmi in confusione, di farmi battere il cuore e inciampare fin dal primo giorno. E dal primo giorno per me lui è stato il mio direttore e basta.

In tutti quegli anni l’unico uomo che le abbia fatto battere il cuore è stato Giuliano, il suo capo. E proprio per questo rapporto lavorativo non ha mai voluto che una storia tra loro si concretizzasse. Ha lottato fino all’ultimo, contro Giuliano e contro se stessa, testardamente.

Essere responsabile, per lui, significa imporre regole ferree e inflessibili, trattare le persone da inferiori, tagliare i meno produttivi senza tenere conto delle loro capacità. L’antitesi dell’armonia e dell’empatia.

Durante la storia vediamo entrare in scena Federico, il personaggio più negativo di tutta la vicenda (ma forse anche uno dei più autentici), prima come “studente” a un corso di formazione tenuto da Rebecca, poi sempre più inserito all’interno della schiera dirigenziale dell’azienda. E fin dal primo momento nasce verso di lui quell’avversione che si può provare per una viscida sanguisuga (con buona pace delle povere sanguisughe).

Quante altre volte dovrò dimostrare che sono matura, responsabile e capace? Quando si stancherà la vita di mettermi alla prova?

Il problema è che non è la vita a metterci alla prova, ma chi ci sta attorno, chi ha paura di essere lasciato indietro. Chi va avanti a spintoni e non per capacità e competenze. E per noi donne questa è una battaglia quotidiana.

La verità è che il destino sa quando è ora di cambiare rotta, spingere sull’acceleratore e virare bruscamente.

Il cactus non ha colpa è un romanzo che ripercorre ventiquattro anni di vita della protagonista e con lei ci porta alla scoperta delle dinamiche sociali e lavorative di un’azienda. In un insieme variegato di personaggi troviamo l’amicizia, la complicità, la collaborazione, ma anche l’invidia e la gelosia.

Attraverso la storia di Rebecca, Roberta Marcaccio entra in un mondo non sempre conosciuto e condiviso: quello delle donne manager. Donne che mettono il lavoro e la carriera davanti ad altre scelte, che si sacrificano per la propria azienda e per i propri collaboratori. Tra la difficoltà di farsi strada e la soddisfazione nell’ottenimento dei risultati, la protagonista si ritrova sempre sballottata tra felicità e incertezza. Fino a quando non sarà la vita stessa a decidere di dare una svolta. 

Perché leggerlo → perché non si può mai sapere ce cosa il destino ha in serbo per noi.

Buona Lettura! 

 - Annalisa - 

La vita è fatta di scelte, dice sempre Ilaria, e siamo noi a scegliere. È fatta di una serie infinita di bivi davanti ai quali ci sono due possibilità: andare a destra o a sinistra; avanti o tornare indietro. Perché non può esistere una strada dritta senza incroci idioti fatti per incasinare l’esistenza?







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