Recensione: La più amata

 «Avrei voluto che quell’anno succedesse qualcosa, che qualcuno mi facesse del male, mi picchiasse, violentasse, si macchiasse di una colpa, a cui potesse seguire una vendetta, avrei voluto essere qui, oggi, vittima dignitosa, ad accusare tutti. 
Purtroppo l’anno in cui mamma dormiva non è successo niente, buonanotte bambini. Notte. E di nuovo mattina. Teresa Ciabatti, rassegnati, non sei tu la protagonista di questa storia, non sei protagonista di niente».

La più amata
di Teresa Ciabatti
Mondadori

Trama
Mi chiamo Teresa Ciabatti, ho quarantaquattro anni e non trovo pace. Voglio scoprire perché sono questo tipo di adulto, deve esserci un'origine, ricordo, collego. Deve essere successo qualcosa. Qualcuno mi ha fatto del male. Ricordo, collego, invento. Cosa ha generato questa donna incompiuta?


“La più amata”  di Teresa Ciabatti edito Mondadori è un libro che o piace o non piace. Non può esserci una via di mezzo. 
La storia dell’infanzia della scrittrice vista con gli occhi di una bambina molto amata dal padre, ma che in realtà appare come una ragazzina viziata fin dai primi anni di vita per non farle perdere il ruolo di “figlia del Professore”, uno degli uomini più potenti della Toscana degli anni Settanta e Ottanta. 
Un ruolo che, però, i suoi compagni di scuola di Port’Ercole non le hanno mai riconosciuto, lasciandola in disparte o peggio ancora, prendendola in giro per il suo modo di vestirsi e la sua corporatura. 


«Potrebbe essere stato tutto, mio padre, prima di mia madre. [...] Pensavo che mi amasse immensamente, che fossi io l'amore della sua vita, che a me, solo a me avesse raccontato tutto. Invece non mi aveva raccontato niente».

Questo libro può essere visto come un atto di coraggio, nell’esporsi in prima persona mettendo “in piazza” le proprie debolezze e incompiutezze, di donna e di madre, esponendo il passato della propria famiglia facendo nomi e cognomi (e indirizzi), rivelando aspetti della vita di un genitore non esattamente condivisibili (massoneria, P2, ecc.). 


«...e solo ora, in questo presente, mi arrivano le risate dal passato - guarda la cicciona che vestito - mi arrivano le parole che non ho sentito allora - poverina però. E mi rivedo quindicenne uscire di casa, cappotto nero di mamma, vestito a rigoni, mi rivedo traballante sulle scarpe mezzo tacco, le prime scarpe col tacco, risento l'emozione di quella prima festa».

Oppure può essere visto come un mero esercizio di auto-analisi, che non lascia emotivamente nulla al lettore. 
Il freddo di una scrittura auto-referenziale vs il calore dell’immersione nel proprio passato alla ricerca dei motivi che hanno portato una persona ad essere così com’è

Punti di vista. Gusto personale. Sicuramente un libro su cui dibattere.

Buona lettura

- ANNALISA - 


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