Segnalazione: Dream On

Buongiorno, oggi vi presento  il nuovo lavoro di Tania Paxia che è uscito ieri. Si tratta di Dream On un romanzo che mescola la narrativa rosa e il fantasy. Trovate anche un estratto del primo capitolo

Dream On
Tania Paxia
Self-publishing

Trama
E se l'inconscio si fondesse con la realtà?
«I sogni sono labili e leggeri. Si dissipano in un soffio, senza neanche dare il tempo di rendersene conto.»Lo sa bene Thea Palmer, psicologa specializzata in psicoanalisi e nell'interpretazione dei sogni. Soprattutto da quando un suo paziente, Paul Kusac, dice di vedere in sogno una San Francisco distrutta abitata da persone rifugiate nei sotterranei o all'interno dei grattacieli per sfuggire alle guardie in ricognizione. Quello che Kusac dice di vedere in sogno è un mondo parallelo, governato da Hypnos, il Dio del Sonno. Thea cerca di convincerlo in tutti i modi che quel mondo da lui descritto (seppur nei minimi particolari) è soltanto un sogno ricorrente che rispecchia l'animo irrequieto dell'uomo. Ma Kusac, durante una seduta, le rivela qualcosa sulla sua vita privata: qualche particolare riguardante la sua adolescenza burrascosa e sulla morte prematura del suo fidanzato Adam. Da quel giorno, Thea, viene tormentata da continue visioni sul suo ex fidanzato morto. In più, altri pazienti sembrano sognare quella città devastata e ricevere dei messaggi in codice da parte di un certo Flynn. Quando anche la sua quasi-sorella minore ha gli stessi disturbi, le sue certezze cominciano a vacillare, pensando addirittura di essere nel bel mezzo di un esaurimento nervoso. La sparizione del suo collega e fidanzato Blake, durante un week-end romantico, non può far altro che peggiorare la situazione. Ma ciò che scoprirà dopo, forse, potrà aiutarla a salvare Blake dalle grinfie di Hypnos e dai suoi subdoli piani.
Questo romanzo è nato dalla storia scritta da Meggie Clarke in "Sono io Taylor Jordan!"


Tania Paxia vive a Bibbona, un paesino nella provincia di Livorno. Frequenta la facoltà di Giurisprudenza (Magistrale) di Pisa e una delle sue grandi passioni è scrivere.
“Nicholas ed Evelyn e il Diamante Guardiano” è il suo primo romanzo. Il racconto che segue “Nicholas ed Evelyn e il Dragone Carbonchio” è uscito il 1 marzo 2015. Il secondo della serie “Nicholas ed Evelyn” è in fase di scrittura. Nel frattempo, ha scritto altri libri: “La Pergamena del Tempio” un giallo su base storica edito da Europolis Editing, in ri-pubblicazione autonoma il 14 agosto 2015, un paranormal “Il marchio dell’Anima EVANESCENT The Rescuer of Souls #1”, un fantasy “La cacciatrice di stelle”, una commedia romantica intitolata “Sono io Taylor Jordan!” e i romanzi rosa intitolati “Ti amo già da un po’”, “Prima che arrivassi tu”, “The Woden’s Day”, “Le strane logiche dell’amore” che hanno avuto un discreto riscontro tra i lettori.


Capitolo uno

“E poi…” il signor Kusac sospirò, dopo aver fatto una smorfia sprezzante, come se gli avessi chiesto di catturare la Luna. “E poi mi sono svegliato. Che domande”.
Ecco, appunto. Il nervosismo del signor Kusac veniva fuori anche per la più piccola sciocchezza. Non come quando lo avevo conosciuto, ma rimaneva pur sempre un caso delicato da non trascurare. Era uno dei miei pazienti da quando lo avevano dimesso dall’istituto psichiatrico dal quale era uscito sei mesi prima. Diceva di vedere cose strane nei sogni e, dopo qualche tempo, accadevano sul serio. Questo, però, era quello che lui affermava. Paul Kusac aveva cinquant’anni e una carriera da poliziotto alle spalle. Ma, dopo un caso irrisolto, aveva iniziato a dare i numeri. Letteralmente. Scriveva cose senza senso dove capitava: sui fogli, sui libri, sui tavoli, sui muri, pavimenti, porte…ovunque gli capitasse. Sua moglie lo aveva lasciato e fatto internare, stremata dai suoi comportamenti schizofrenici e oltre il limite della pazzia. Dopo due anni, era stato dichiarato idoneo al ritorno alla vita di tutti i giorni, seguito da una psicoterapeuta – la sottoscritta – che collaborava con l’istituto di igiene mentale di Pasadena, in California.
Il suo sguardo, per un istante, si fece serrato, come in preda a una furia omicida, poi prese un respiro profondo e strinse la mandibola squadrata, coperta da un sottile strato di barba ingrigita. I suoi occhi color castano chiaro rimasero a contemplare il soffitto per alcuni secondi, del tutto abbandonati a chissà quale pensiero, prima di voltarli nella mia direzione. “Allora, secondo lei, che significa? Che sto diventando pazzo? Di nuovo?” si aggiustò le gambe sulla morbida poltrona di finta pelle nera del mio studio, per accavallarle; poi cominciò a giocherellare con le dita delle mani, con le unghie mangiucchiate a sangue poggiate sul petto. Arpionò il mio sguardo e non sembrava intenzionato a mollarlo fin quando non avessi risposto alla sua domanda.
“Non si arrovelli il cervello per i sogni. I sogni”, feci una pausa, cercando di scegliere le parole giuste da rivolgergli, “sono solo sogni. Il più delle volte non hanno senso, mentre nelle altre occasioni è soltanto il nostro subconscio che ci ricorda qualcosa che abbiamo ignorato, qualcosa che non ci è chiaro, qualcosa che non vogliamo ammettere o che desideriamo con tutto il nostro animo, ma che, nella vita, purtroppo non si realizza. Sono i nostri desideri più reconditi che vengono fuori durante il sonno”.
Ero fiera di me per aver tirato fuori quelle precise parole, così, d’impulso. Sperai che fossero sufficienti a fargli capire il concetto. Ma non esiste una persona più sorda di chi non vuol sentire.
“E come se lo spiega il fatto che io veda volti di persone a me sconosciute e quella città devastata?” sbatté le palpebre più di una volta, alterato dalla piega che stava prendendo la nostra chiacchierata.
“La sua mente potrebbe aver veicolato varie informazioni prese da notiziari, film di azione, oppure dalla vita di tutti i giorni, persino da una camminata per strada, e rielaborate durante la fase R.e.m.”. Lo fermai con un gesto della mano prima che potesse interrompermi. “Non sa da quante informazioni il cervello è bombardato ogni giorno. Pensi a quando è entrato in questo edificio”. Provai ad esporgli un esempio pratico: “Si ricorda i volti di ogni persona che ha incontrato durante il tragitto? I suoi occhi sì, ma la mente ha selezionato soltanto i pochi dati della quale aveva bisogno. Non se li ricorda, ma se ci riflette con attenzione, i volti offuscati, pian piano, diventano chiari e limpidi”.
Si alzò di scatto, fermandosi a sedere. Ebbi un sussulto quando serrò ancora quegli occhi enigmatici. “Mi hanno detto che lei pratica l’ipnosi. Se non mi crede in questo stato, potrebbe credermi nell’altro”.
Praticavo l’ipnosi? Sì, quando ero una ragazzaccia che voleva sbarcare il lunario, raggirando qualche povero malcapitato. Scossi il capo con vigore, facendomi il solletico sul volto con i ciuffi di capelli dal taglio moderno, scalato. Mi portai il pollice e l’indice intorno al setto nasale, massaggiandomi gli incavi degli occhi. Sbuffai. “Chi le ha detto una cosa simile?”
Kusac sorrise beffardo lasciando intravedere dei denti marroni, colpa delle tante sigarette che si fumava e della carenza igienica dovuta alla depressione. Dovevamo ancora lavorare su quell’aspetto. Era già tanto se adesso fosse in grado di dialogare con le persone e non gli urlasse addosso cose senza senso, ringhiando come un cane randagio. “Me lo ha detto una persona, in sogno”.


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