Cronache dalla fine del mondo

"Uno scrittore non vive la vita come se questa gli cadesse addosso dal cielo, ma prevede e disegna ogni istante con metodo e precisione. Scoperchia e studia il mondo alla ricerca del congegno che lo fa funzionare, per poterlo sovvertire. Non gli interessa veramente chi sei e cosa fai, ma quanto materiale emozionale puoi fornirgli, quanta parte di te può trovare spazio, e in che modo, all'interno della sua opera"
Cronache dalla fine del mondo
di Sara Zelda


Trama
"Cronache dalla fine del mondo” non è solo una costruzione a effetto, e non sta neppure a indicare la volontà di riallacciarsi a una qualche tradizione escatologica: è una condizione mentale socialmente acquisita, il monologo interiore di chi attraversi l’esistenza senza riuscire a trovarvi uno scopo. La fine del mondo è il logorarsi dei legami umani, l’incapacità di comunicare, di penetrare una coscienza diversa dalla nostra, e spesso perfino la nostra. Una raccolta surreale che non ha fatti da narrare ma cose da dire, dove i personaggi sono per lo più simbolici e le situazioni fungono da spunti di riflessione e di costruzione lirica o addirittura ironica. Anticipa i temi del romanzo I Dissidenti.


***
Quando ho iniziato a leggere "Cronache dalla fine del mondo" non avrei immaginato di trovarci una vecchia amica. Un amicizia a senso unico e mai esternata, eppure… 
Perché Sara Zelda ha raccolto in questo libro parti di quello che è stato per anni il suo blog su Splinder dove scriveva sotto lo pseudonimo di Judith Cavalera, blog che io seguivo e che apprezzavo molto. Quindi rileggere a distanza di anni alcuni dei suoi post, magari non proprio quelli che avevo letto io all'epoca, mi ha fatto ritrovare quella vecchia amica nel cui mondo andavo a sbirciare di tanto in tanto.
Leggere "Cronache alla fine del mondo" è come scavare nei pensieri di Sara, conoscere meglio il suo processo creativo, scoprire legami con i libri che poi ha scritto: "I Dissidenti" e "Nichi arriva con il buio".
C'è la cultura, la vita, ci sono i pensieri, c'è la costruzione della scrittrice. Vi lascio alle quattro chiacchiere che ho fatto con Sara, ma prima permettetevi di consigliarvi la lettura di questo libro soprattutto se avete amato  - come me - i suoi due romanzi.


1) Le Cronache sono una raccolta di pensieri che tracciano un percorso, quello del blog che hai gestito per tanti anni... Rileggendole oggi, quanta Sara ci trovi?
Moltissima, anche se quella è una Sara che oggi non esiste più. Per questo, ogni volta in cui mi riferisco a me stessa nella raccolta, lo faccio usando il nickname con cui allora mi presentavo in rete: Juditta. La Sara di oggi, Zelda, è un’altra faccenda, benché a ben vedere sia tutto collegato. Ogni artista, per essere tale, deve anzitutto creare se stesso (un precetto di fondo che condivido quantomeno con Anaïs Nin). Tutto il materiale contenuto ne le Cronache è per me la testimonianza di quella creazione, di quel periodo “formativo”in cui andavo testando e plasmando me stessa e la realtà che mi circondava. Da quelle scoperte ho attinto tutto il materiale artistico che sarebbe confluito poi nei miei primi due romanzi.
Hai detto giusto: le Cronache tracciano il percorso del blog che gestivo, ma lo stesso blog era la traccia di un altro percorso, più profondo. Qualcosa che forse non doveva stare in rete e per questo motivo l’ho poi cancellato.

2) Per chi ha letto i tuoi libri ci sono dei chiari, bellissimi, riferimenti. Anzi, nel caso de I Dissidenti parli proprio chiaramente del romanzo. Attingerai nuovamente da lì per lavori futuri?
In realtà credo che la funzione delle Cronache si sia esaurita col mio secondo romanzo, "Nichi Arriva Con Il Buio". Ora che la “fine del mondo” è stata rivelata è il momento di creare un mondo nuovo, di gettare le basi per il futuro. Se fino a questo momento il mio lavoro si è concentrato soprattutto su me stessa, adesso sto creando dei ponti con altre persone, con altre sensibilità: una sfida tanto ardua quanto affascinante, e che non avrei mai potuto affrontare se non avessi prima compiuto il viaggio più difficile di tutti.

3) Come sempre ci inebri con tantissime citazioni, soprattutto musicali, ma anche cinematografiche. A me l’uomo in fondo alle scale ha messo addosso un tale livello di angoscia che (quasi) neanche Bob di Twin Peaks. Quanto prendi spunto dalla cultura che ti circonda quando crei le tue storie?
Moltissimo. D’altronde, ci vivo immersa dentro. Come rivela il racconto intitolato "Dexter Morgan e l’Immoralista", da cui è tratto proprio quel personaggio che citi, è difficile capire quanto la mia immaginazione abbia proiettato o introiettato. C’è un canale sempre aperto tra me il mondo esterno, uno scambio continuo di energia vitale, non solo creativa.

4) La tua auto-citazione preferita?
Tutto il materiale contenuto nelle Cronache è per me ugualmente prezioso, ma messa davanti a una scelta citerei il racconto intitolato "Il Mio Romanzo Ingiustamente Più Famoso è Stato Scritto e Riscritto Un Sacco Di Volte e Ora Suona Più o Meno Così". Quel racconto è la vera anima de "I Dissidenti" e, sebbene all’apparenza non abbia nulla a che fare col romanzo, è in realtà il primo vero esperimento che ho compiuto in quella direzione: il tentativo di trasformare una mia esperienza personale in una metafora efficace e universale.

5) A chi suggerisci la lettura delle Cronache? E quando scrivevi il tuo blog pensavi mai a chi avrebbe letto le tue parole?
A tutti coloro che hanno interesse a compiere una ricerca simile in se stessi, poiché è sempre un po' più facile prendere spunto da chi ci è già passato (per me allora furono illuminanti i testi di Jack Kerouac e le canzoni dei Nirvana; peccato aver "incontrato" Anaïs Nin solo in tempi recenti, ma l'aspetto migliore del processo di scoperta e di creazione di se stessi è che non finisce mai), ma anche a chi abbia letto i miei romanzi e sia curioso di scoprire come sono nati. A detta di qualcuno del cui giudizio mi fido quanto del tuo, potrebbero interessare anche agli amanti dell'ermetismo onirico à la Jorge Luis Borges. Naturalmente pensavo moltissimo a chi avrebbe letto il blog, altrimenti non avrei mai scelto quella modalità di espressione: avrei forse confinato tutto dentro un taccuino... ma non sono mai stata uno scrittore "Moleskine": quel tipo di mezzo per me ha esaurito le sue potenzialità già negli anni Sessanta. Come spiego nell'introduzione alla raccolta, quello del blog era allora un mondo relativamente nuovo, un'isola selvaggia che sentivo il bisogno di esplorare. E l'ho marcato così a fondo, per quanto in poco tempo, che a volte mi capita ancora di incappare in un lettore occasionale che mi dica: «Tu eri Juditta? Pazzesco, io mi ricordo di te!»

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